Recensione di Massimo Centini
Dominato da un profondo eclettismo, il notevole lavoro artistico di Giuseppe Caresio ci avvolge e forse ci travolge per la sua notevole vastità; una grande quantità di opere distribuita lungo una carriera che gli ha dato numerosi riconoscimenti, coronamento meritato alla sua instancabile attività creativa e didattica.
Ripercorrendo le tante tappe della sua vita, mai povera di eventi, alcuni destinati a segnarne in profondità l’anima e la poetica, scopriamo che Caresio ci ha lasciato una serie infinita di oli, acquerelli, incisioni, disegni, accolti in innumerevoli collezioni private e presso enti e associazioni.
Non è facile districarsi nel magmatico universo costituito da questo ampio insieme di opere realizzate in vari periodi della sua attività: si passa dal figurativo più tradizionale, a tutta una serie di “ricerche” strutturali che si allontanano da ogni stereotipo, per imboccare strade “altre”, indirizzate verso soluzioni innovative.
All’origine vi era certamente la consapevolezza, da parte dell’artista, che l’arte è soprattutto occasione per dare un po’ di se stessi agli altri attraverso la ricerca costante della bellezza. Quella bellezza che ha colmato la vita di Giuseppe Caresio: anche noi che non abbiamo avuto la gioia di conoscerlo, scorrendo il voluminoso corpus delle sue opere, rintracciando frammenti cronachistici e lasciandoci avvolgere dall’eco delle parole di chi gli ha voluto bene, abbiamo la sensazione che questo artista abbia condotto la sua attività nella mai paga ricerca della bellezza.
Ci pare di avvertirlo in numerosi dei suoi paesaggi, alcuni riverberano tracce di memorie fiamminghe, altri rivisti attraverso un velame espressionista.
Abbiamo così la consapevolezza che Caresio non si è posto limiti, ha voluto sperimentare linguaggi sempre diversi, lasciando a margine ogni inquadramento e aderenza a canoni prestabiliti, forse perché un atteggiamento di questo genere faceva parte del suo carattere, della sua autonomia e senso della libertà. Ha quindi scelto di spaziare liberamente: nel linguaggio e nella scelta dei soggetti.
E così, nel suo mondo, convivono senza attriti un anziano pastore, forse canavesano, con Don Chisciotte e l’immancabile Sancio Panza, una sensuale modella e un eterea ballerina. Gli esempi potrebbero essere moltissimi e probabilmente verrà il giorno in cui sarà possibile definirli con chiarezza, quando sarà il tempo della storicizzazione di Giuseppe Caresio attraverso un’organica antologizzazione.
Misurando il segno pittorico, con l’intenzione di farne cifra dialettica per andare senza attriti in direzione del fruitore, l’artista ha sempre saputo mantenersi saldamente legato a pochi ma fondanti elementi estetici. Nell’impianto compositivo che ha definito l’identità di Caresio, disegno e colore si sono fusi in una struttura che continua a suggerire frammenti di storie, lasciando trasparire emozioni come lampi. Squarci di umanità che ancora oggi vibrano di una poesia autentica, resa attiva da un dinamico equilibrio tra l’apparenza e i moti dell’anima.
L’opera creativa che si snoda limpidamente nella lunga carriera artistica di questo pregevole pittore, ha quindi lasciato tracce importanti e profonde: da esse è possibile scorgere i vagiti di una visione interiorizzata, in qualche caso i riverberi di un sogno, il riaffiorare di ancestrali suggestioni che si amalgamano in una dimensione a tratti sfumata nell’affondo metafisico.
Caresio ha saputo narrarci storie colme emozioni, provenienti da vicende viste o immaginate, da luoghi di origine onirica o colti nella luce radente dietro casa; da tutto questo universo di immagini, la sensibilità dell’artista ha tratto gli elementi principali con i quali ha via via tessuto un progetto poetico che ancora ci affascina e un po’ ci emoziona.
Come già indicato, in qualche caso la morfologia delle sue opere si problematizza attraverso una reinterpretazione degli elementi del linguaggio pittorico: ma non bisogna arrestarsi al cospetto del cambio di orientamento, si deve andare oltre le secche dell’apparenza, per scoprire così altri aspetti della multiforme poetica di Giuseppe Caresio.
La matrice tradizionalista posta alla base della prevalenza delle costruzioni pittoriche che l’artista ha realizzato, è stata adattata alle esigenze poetiche sulle quali si è conformato un linguaggio alimentato da una tavolozza mai arida di colori, sempre limpidamente disposta a lasciarsi trascinare dal fascino, a tratti ludico, della spirale cromatica.
La volontà di trovare sempre un equilibrio compositivo, ha trovato i propri strumenti nel colore e nella forma, ma anche in qualcosa di non facilmente individuabile, un qualcosa che è ancora adagiato nella parte più profonda della delicata pittura di Caresio. Appunto qualcosa di indefinibile e che, attraverso l’immortalità del segno, ci riporta l’eco del lavoro di un artista il cui ricordo si pone indelebilmente nell’elenco di quanti hanno fatto della loro vita un’inesauribile ricerca della bellezza.
Torino 9 gennaio 2015
Massimo Centini